È interessante ricordare come la storia della neuropsicologia abbia le sue origini nella seconda metà dell’ottocento proprio grazie al famoso caso di un paziente che perse la capacità di parlare, il cosiddetto paziente Tan Tan.
Questo artigiano parigino colpì l’attenzione del neurologo Paul Broca per il fatto che riuscisse a pronunciare solo le sillabe “tan tan”.
Egli analizzò così il suo cervello post-mortem individuando nella terza circonvoluzione frontale sinistra, l’area implicata in quella che sarebbe stata poi definita afasia di Broca.
L’afasia consiste nella perdita totale o parziale del linguaggio conseguente alla lesione di determinate aree cerebrali (Basso, 2005).
La natura e la gravità della disfunzione del linguaggio dipende da dove è situata la lesione e dalla sua ampiezza.
Si è solito classificare l’afasia in fluente e non fluente (Beeson & Rapcsak, 2005).
Spesso l’afasia fluente segue a lesioni che coinvolgono il lobo temporale superiore a livello di quella che è stata definita l’area di Wernicke.
Questi pazienti tendenzialmente hanno un eloquio articolato con frasi relativamente lunghe ma che tuttavia possono non avere alcun significato per chi ascolta per l’uso improprio delle parole, e violazioni di regole grammaticali e sintattiche. Questi pazienti hanno anche deficit a livello della comprensione del linguaggio.
Diversamente l’afasia non fluente risulta da lesioni del lobo frontale sinistro, che coinvolgono le regioni frontali inferiori posteriori sinistre quali l’area di Broca.
Tali pazienti tendono ad avere una comprensione preservata ma ad avere deficit a livello della produzione e articolazione del linguaggio.
Pensate che si stima che tra il 24 e il 52% dei pazienti con ictus in fase acuta abbiano una qualche forma di afasia se testati nei primi sette giorni dall’evento morboso;e pensate che il 12% di chi sopravvive riporta deficit afasici a 6 mesi dopo l’ictus (Wade, Hewer, David, & Enderby, 1986). Si può far recuperare il linguaggio a pazienti afasici reclutando regioni cerebrali perilesionali nell’emisfero affetto o regioni omologhe nell’emisfero sano. Nei casi in cui un’ampia lesione cerebrale colpisca l’emisfero sinistro,emisfero in cui è lateralizzato il linguaggio nella maggior parte delle persone, il recupero dei deficit può avvenire solo attraverso l’emisfero destro.
In particolare le regioni dell’emisfero destro che giocano un ruolo importante nel recupero dell’afasia sono il lobo temporale superiore, il giro frontale inferiore posteriore, le regioni premotorie, la corteccia motoria primaria, e il fascicolo arcuato, un fascio di sostanza bianca che connette le regioni frontali a quelle temporali. Tali regioni sono coinvolte anche nel canto.
Può il canto essere una risorsa nel recupero dei deficit afasici?
Esiste un approccio detto melodic intonation therapy, che è stato sviluppato in risposta alle osservazioni che i pazienti severamente afasici, spesso producono parole ben articolate e linguisticamente accurate durante il canto ma non durante il linguaggio parlato (Schlaug et al., 2009).
Nella melodic intonation therapy si usa così il canto per esagerare il normale contenuto melodico del linguaggio (i pattern prosodici) in pattern melodicamente intonati usando solo due suoni.
Tale approccio ha due caratteristiche peculiari che consistono nell’intonazione melodica di frasi con un voicing inerente e continuo e il tapping ritmico di ogni sillaba (usando la mano sinistra del paziente) mentre le frasi vengono intonate e ripetute.
Ma che cosa accade nel cervello dei pazienti che seguono un trattamento tramite melodic intonation therapy?
In uno studio molto affascinante Schlaug et al. (2009) hanno mostrato come in pazienti afasici siano stati osservati cambiamenti plastici a livello del fascicolo arcuato destro in seguito a 75 sessioni di melodic intonation therapy. Tramite DTI (imaging con tensore di diffusione), strumento con cui si può ricostruire la trattografia delle connessioni neurali, è stata evidenziata una chiara differenza nel numero e nel volume delle fibre del fascicolo arcuato destro prima e dopo la terapia.
Bibliografia:
–Conoscere e rieducare l’afasia. Anna Basso (2005)