Nota fondamentale, quinta , sesta, settima bemolle,ottava, nona e così via. Conditi col giusto ritmo e attitudine, o feel dicono i jazzisti, molti musicisti riconosceranno in questi intervalli il tema di “So What” di Miles Davis. Siamo capaci di riconoscere una melodia grazie al pattern delle relazioni degli intervalli tra le note non importa qual’è la nota di partenza. La capacità di capire le relazioni tra le note va sotto il nome di orecchio relativo. Ma una minoranza di musicisti riesce a riconoscere le note senza alcun altro riferimento ha cioè un’abilità detta orecchio assoluto. E’ difficile immaginare fino in fondo cosa davvero percepisce chi ne è dotato. E’ un po’ quello che potrebbe capitare ad un ipotetico marziano che arriva sulla terra e ci dice di non saper percepire i colori senza paragonarli l’uno con l’altro. Come gli spiegate quanto per voi è ovvio vedere che una cosa è rossa? Ancora più difficile capire l’orecchio assoluto sarà per persone come Che Guevara che era noto per essere “amusico”. Un aneddoto narra che il Che sapeva bene di questa sua difficoltà a riconoscere le melodie, ed era d’accordo con il suo migliore amico Alberto di fargli un cenno ogni volta che suonavano un tango. Durante una festa, iniziarono a suonare una musica molto vivace tipica del Brasile, la preferita di Alberto che, dall’entusiasmo di condivisione, lanciò una gomitata all’amico. Il Che, che stava adocchiando una donzella, interpretando il gesto di Alberto come un segnale, partì a ballare un passionale tango lento… Si accorse dell’errore solo osservando che tutti ballavano tutt’altro. Ma il Che non è l’unico. Ci sono infatti persone che, anche se educate alla musica, mostrano delle difficoltà selettive per questo dominio. Queste persone falliscono nel riconoscere melodie a loro note, mentre sanno invece riconoscere le parole di un brano musicale o qualsiasi suono ambientale. Si tratta della cosiddetta amusia congenita la cui esistenza suggerisce che il cervello abbia dei circuiti neurali specifici per l’elaborazione musicale.
E’ facile immaginare che chi ha amusia congenita sarebbe molto perplesso nel comprendere una persona con orecchio assoluto a cui viene così naturale e automatico riconoscere un “la” piuttosto che un “fa diesis”.
Tanti musicisti invidiano questa abilità che renderebbe più semplice il loro lavoro infatti è comune sentire domandare: ”Ma l’orecchio assoluto si può apprendere o è innato? “
I neuroscienziati hanno cercato di rispondere a queste domande. Anche se ancora debbono esser fatti studi più approfonditi sembra che per sviluppare un vero orecchio assoluto sia necessario un precoce allenamento musicale. Per precoce si intende cioè durante l’infanzia , a supporto dell’idea dell’esistenza di un “periodo sensibile” per sviluppare tale capacità che potrebbe estendersi fino ai dodici anni circa (Zatorre,2003). Ma è sufficiente? In realtà non basta infatti tanti bambini ricevono sin da piccoli un’educazione musicale di livello ma non svilupperanno mai tale capacità. Sembra ci sia una predisposizione genetica che non tutti hanno. Questo dato è suggerito ad esempio da studi sulla familiarità in cui si trova che dal 8% al 15% dei fratelli presentano orecchio assoluto. Oppure studi che confrontano popolazioni umane diverse, indicano una più alta incidenza di orecchio assoluto in persone con discendenza asiatica. Può esser obiettato che sia piuttosto la cultura e la lingua parlata a giocare un grosso ruolo qui. C’è da dire però che alcune di queste popolazioni non parlano lingue tonali (come i giapponesi), inoltre questa più alta incidenza persiste anche in bambini asiatici che parlano solo inglese e che son cresciuti in contesti culturali diversi.
Ma lasciamo da parte i dibattiti natura versus cultura e addentriamoci nel cervello dei musicisti con e senza orecchio assoluto e andiamo a caccia di differenze.
Ricordiamo prima che l’orecchio assoluto richiede lo sviluppo di due componenti cognitive: una percettiva di codifica fine per categorie di suoni e una di memoria associativa (assegnare la giusta etichetta verbale ad un suono es. “do”, oppure saper immediatamente riprodurre la nota udita sullo strumento).
E’ logico aspettarsi delle differenze proprio in aree cerebrali coinvolte in questi due processi. In effetti è stato riscontrato che la corteccia temporale superiore, proprio dove si trovano aree deputate alla percezione uditiva, risulta più grande nell’emisfero sinistro rispetto a quello destro nei musicisti con orecchio assoluto (Keenan et al.,2002). Tale asimmetria tra emisferi cerebrali in queste aree esiste anche negli altri musicisti ma è esagerata in chi ha orecchio assoluto. Interessante notare che con la risonanza magnetica funzionale è stato visto che proprio tali aree, in particolare il solco temporale superiore, sono maggiormente attive nei musicisti con orecchio assoluto all’inizio di un compito di discriminazione tonale (dire se l’ultima nota o la penultima sono uguali alla prima in una breve melodia)(Schulze et al.,2009).
Sembra che i neuroni del solco temporale superiore siano infatti importanti per identificare e categorizzare i suoni. Abbiamo esplorato le aree percettive, siamo quindi a un passo precedente alla denominazione del suono. Siamo a un livello in cui chi ha l’orecchio assoluto ha percepito senza dubbi “il colore con cui suona” una determinata frequenza sonora (es.440 Hz) ma non l’ha ancora chiamata con il suo nome (es. la).
In questo processo (associare al suono percepito il nome) è coinvolto il lobo frontale. Durante l’ascolto di note presentate singolarmente la corteccia frontale posteriore dorsolaterale risulta più attiva in chi ha l’orecchio assoluto. Il fatto che queste aree siano coinvolte nell’attribuzione di etichette verbali ai suoni è supportato dal fatto che sono attive in tutti i musicisti quando si richiede di dire l’intervallo tra due suoni (es. si presenta un do e un mi e il soggetto deve dire che è una terza maggiore). Interessante sapere che son state trovate differenze nello spessore corticale in certe aree frontali tra musicisti con e senza orecchio assoluto (Bermudez e Zatorre,2009). In particolare risultano più spesse,in chi ha l’orecchio assoluto,la corteccia premotoria dorsale e ventrale in particolare,la pars opercularis del giro frontale inferiore.
Tanto ancora c’è da scoprire e intanto in attesa di futuri studi,con orecchio assoluto o senza godiamoci questo bel dono che l’uomo ha fatto a se stesso sin da tempi remoti che è la musica.
Bibliografia:
“The cognitive neuroscience of music” di Peretz e Zatorre(2010)
“Absolute pitch: a model for understanding the influence of genes and development on neural and cognitive function”di Zatorre, Nature neuroscience(2003)
“The absolute pitch mind continues to reveal itself” di Bermudez e Zatorre,Journal of biology(2009)
L’orecchio assoluto è di origine genetica.
Le persone autistiche (sindrome genetica) hanno una percentuale elevatissima di possibilità di avere l’orecchio assoluto.
Non dipende dal fatto o no di studiare musica da bambini…e non si limita alla musica intesa come “note di un spartito”…riguarda ogni suono,rumore…e fa parte dell’ “essere” di un individuo.
Si può capire che una persona ha questa caratteristica anche se non ha mai studiato musica o in contesti diversi da questa…
Chi afferma che si può apprendere confonde un orecchio molto buono da quello assoluto.
Ci si nasce e ci si muore.
Non deriva da nessuna lingua.
Non lo si apprende nè “mantiene” in alcun modo…lo si può far vedere,rendere evidente…ma ci si è nati.
La personalità è diversa,fin da piccoli…e si può capire se un bambino ce l’ha…perchè non è una caratteristica (come ho sentito dire) con cui tutti nascono e che poi si perde…
Si leggono tante inesattezze…io ho l’orecchio assoluto ma non ho studiato musica…nessuno nella mia famiglia…
Si nasce così e basta.
Salve Isabella, grazie per il feedback che mi permette di chiarire meglio questo punto. Sul ruolo dei geni, come ho riportato anche io nell’articolo citando la letteratura scientifica, lei ha perfettamente ragione a sostenere che abbiano un ruolo importante e lo mostrano anche le evidenze scientifiche. Tuttavia la ricerca mostra che esiste un periodo sensibile in cui ha un ruolo anche l’esperienza e l’ambiente e che va circa fino ai 12 anni. A questo proposito per approfondire le consiglio, se le va, la lettura di un importante articolo pubblicato su Nature di Robert Zatorre, neuroscienziato tra i massimi esperti di questo argomento e che cito sempre anche i miei studenti interessati all’orecchio assoluto. Il titolo è il seguente: “Absolute pitch: a model for understanding the influence of genes and development on neural and cognitive function”. Come potrà leggere già dall’abstract ecco un punto importante:” Indications are that it depends on both genetic factors and exposure to musical training during childhood, supporting the idea of a sensitive period”. Spero di averle risposto, ma mi scriva pure per qualsiasi confronto. Le mando un caro saluto! Vanessa Candela
Grazie della risposta precisa e con la quale concordo pienamente…
Per quanto riguarda l’importanza del connubio geni-ear training:io (ci tengo a precisare) sono autistica ad alto funzionamento,più conosciuta come sindrome di Asperger…
Studi scientifici hanno dimostrato come i soggetti autistici abbiano una probabilità maggiore (così come altre sindromi genetiche) di possedere innatamente l’orecchio assoluto.
Vorrei gentilmente chiederle:a cosa si riferisce per ear-training?
Studiare musica?
Ascoltarla intensivamente?
Vivere in un ambiente di musicisti?
Grazie mille per la risposta.