Citando Novalis:
“Ogni disturbo è un problema musicale; ogni cura è una soluzione musicale”.
In effetti il potere della musica è noto da tempo e questo ha determinato risvolti affascinanti anche nella riabilitazione neuropsicologica.
La musica può essere un grande strumento di intervento per facilitare funzioni compromesse e per promuovere benessere psico-emotivo in persone affette da disturbi neurologici.
Per esempio è noto che la musica può avere importanti benefici nei pazienti con malattia di Parkinson. Questa patologia colpisce, secondo le ultime ricerche epidemiologiche, l’1% della popolazione sopra i 60 anni (Ole-Bjørn Tysnes & Anette Storstein, 2017) e considerando che attualmente non esiste una cura definitiva per questo disturbo neurodegenerativo, è importante conoscere cosa si può comunque fare per promuovere il benessere di queste persone e delle loro famiglie.
Tra le principali difficoltà riscontrate in pazienti con malattia di Parkinson si evidenziano difficoltà motorie che rendono problematico camminare. Tipicamente questi pazienti, infatti, fanno difficoltà a regolare la lunghezza dei loro passi (Morris et al., 1996), mostrano un rallentamento del movimento, la cosiddetta bradicinesia, un’instabilità posturale e una rigidità dell’andatura (Knutsson, 1972).
Tenendo presente che circa il 63% dei pazienti cade almeno una volta in un anno con numerose conseguenze per queste persone e per chi si occupa di loro (Allcock et al., 2009) intervenire facilitando il movimento e il modo di camminare di questi pazienti può essere un importante ambito di intervento.
In che modo può la musica aiutare in questo?
L’idea parte da una delle possibilità proposte per spiegare tali difficoltà, ovvero la presenza di un deficit dei meccanismi di regolazione temporale interna fondamentali nella coordinazione di ogni movimento del corpo (Jones et al., 2008; Wearden et al., 2008).
Nella malattia di Parkinson, questa irregolarità del cammino suggerisce proprio, secondo molti studiosi, un disturbo di coordinazione ritmica del movimento (Ebersbach et al., 1999; Skodda et al.,2010; Thaut et al., 2001).
Lavorare con la musica e con stimoli esterni che regolano il ritmo sembra quindi efficace nel migliorare l’andatura nei pazienti con Parkinson (Rossignol and Jones, 1976; (Arias and Cudeiro, 2008; Fernandez del Olmo and Cudeiro,2003; Lim et al., 2005; Rochester et al., 2009; Satoh and Kuzuhara, 2008; Thaut and Abiru, 2010).
La maggioranza degli interventi di musicoterapia potenziano la connessione tra percezione uditiva e movimento, che è possibile perché il ritmo attiva i circuiti neuronali coinvolti nell’elaborazione motoria e queste connessioni neuroanatomiche consentono alla musica e al ritmo di agire come spunto per il movimento.
In pratica può essere utilizzato un forte “beat”, quindi la percezione di un pattern temporale all’interno di una sequenza ritmico-acustica (Large, 2008), per aiutare questi pazienti a iniziare il movimento. Sebbene il “beat” derivi inizialmente da uno stimolo uditivo, il ritmo può anche indurre un senso di timing interno che una volta stabilito può continuare nella mente anche in assenza di qualsiasi input acustico esterno (Benjamin, 1984; Lerdahl and Jackendoff, 1983; Palmer and Krumhansl, 1990).
Il processo di sincronizzazione delle sensazioni endogene del “beat” con un movimento ritmico esterno viene chiamato “entrainment”.
L’”entrainment” è alla base dei programmi musicali messi a punto per i pazienti con malattia di Parkinson, dato che un pattern ritmico-sonoro crea una struttura di sequenze temporali che può essere usata come riferimento per mappare i movimenti (Nombela et. al, 2013).
In altre parole si ritiene che i miglioramenti osservati nell’andatura siano dovuti alla sincronizzazione del movimento con l’aspettativa temporale di un “beat” regolare, che vanno a sostituire la funzione compromessa di timing interno.
Questa facilitazione ritmico-sonora sugli aspetti motori potrebbe essere spiegata dal forte legame tra movimento e suono a livello neurale.
Nell’uomo studi di neuroimaging hanno indagato la sincronizzazione percettivo-motoria, rivelando un aumento di accoppiamento dell’attività neurale tra corteccia uditiva e premotoria durante l’elaborazione del ritmo (Chen et al., 2006; Grahn and Rowe, 2009),anche a un livello preattentivo (Tecchio et al., 2000). Inoltre, le aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione del ritmo sono strettamente legate a quelle del movimento, quali la corteccia premotoria, l’area supplementare motoria, il cervelletto e i gangli della base (Bengtsson et al., 2009; Chen et al., 2008; Grahn and Brett, 2007; Lewis et al., 2003; Mayville et al., 2001; Schubotz and von Cramon, 2001; Ullen and Bengtsson, 2003).
È importante comunque sottolineare che gli interventi ritmico-musicali devono essere progettati in modo efficace , poiché sembrano perdere valore terapeutico quando non sono sintonizzati e pensati tenendo conto anche dell’unicità della persona e del suo ritmo individuale.
Concludo con un video su questo argomento del neurologo Oliver Sacks di cui segnalo anche un libro affascinante e da avere assolutamente per chiunque voglia saperne di più sulla musica intrecciata alla neurologia: Musicofilia.
Bibliografia:
Epidemiology of Parkinson’s disease.Tysnes OB1, Storstein A2. J Neural Transm (Vienna). 2017 Aug;124(8):901-905. doi: 10.1007/s00702-017-1686-y. Epub 2017 Feb 1.
Into the groove: Can rhythm influence Parkinson’s disease? Cristina Nombelaa, Laura E. Hughesb, Adrian M. Owenc,d, Jessica A. Grahnc,d,∗Neuroscience and Biobehavioral Reviews 37 (2013) 2564–2570